La conoscenza secondo Steiner è sempre fenomenologica.
Conoscere significa non avere presupposti, preconcetti di alcun tipo; la conoscenza non può ammettere nessuna soglia, nulla di predefinito, nessun presupposto.
E come avviene un processo conoscitivo che scaturisca dalla cosa stessa? Facendo parlare la cosa stessa senza sovrapporre le nostre categorie, ciò che proviene dalla nostra interiorità. Se rispetto ad un fenomeno uso i filtri della mia personalità, limiterò enormemente la possibilità di coglierne l’essenza perché ci avrò messo sopra le mie categorie, i miei filtri, la mia esperienza di vita, tutte cose che non c’entreranno sicuramente nulla o poco di più che nulla, nel fenomeno che sto osservando.
Se una persona gioca a tennis ed io ho avuto esperienze non positive con questo sport, è facile che abbini alla persona le mie preclusioni verso quello sport e così metterò dei filtri tra me e la persona e questo mi allontanerà dalla possibilità di svelare l’essenza di quella persona.
Facciamo parlare le cose o il bambino quando non sovrapponiamo alle cose o al bambino alcuna teoria, alcuna nostra categoria, quando non cerchiamo nel bambino la conferma di nessuna nostra teoria.
Steiner fonda le basi per una conoscenza dell’Uomo così come abbiamo visto nella ricostruzione etimologica – l’azione di “girare intorno”, essere in armonia con, comprendere – fondata sulla base di un pensiero vivente, un pensiero che si sgancia dall’incantesimo dei sensi e libera i pensieri dal riflesso dell’intelletto vivente nell’anima e nello specchio cerebrale, per arrivare ad un pensare che non è più riflesso ma entra nella sfera degli archetipi o dei concetti o delle idee, libere da ogni giudizio personale (le etichette), che vivono nel mondo Spirituale e che sono la vera realtà delle cose e che dobbiamo incontrare, intercettare, immaginare, intuire per svelare chi c’è davanti a noi.
La conoscenza che entra nel fenomeno e non si limita ad una definizione, ad una etichetta né si ferma a guardarlo come un elenco di particolari altrettanto incantati come le teorie della causa e dell’effetto, ma entra nel piano dell’impulso, del gesto, dell’intelligenza, del concetto, dell’idea archetipale che sta al di sopra di ogni manifestazione del piano fisico, che si tratti di un minerale, un vegetale, di un comportamento umano o di un Essere Umano. Lo abbiamo visto quando abbiamo parlato dei Piani al di sopra dei corpi.
Il mondo dell’immaginazione, dell’ispirazione e dell’intuizione.
L’Antroposofia, come molte tradizioni spirituali fornisce gli strumenti per liberarsi da ogni forma di giudizio ed accedere direttamente al mondo dei pensieri originari, uscire dalla usuale modalità mortifera della conoscenza operante nel pensiero riflesso che incanta la percezione ed il fenomeno come nello scatto di una fotografia per poi incasellarlo in uno dei tanti cassettini precostituiti dalla società. L’Antroposofia fornisce gli strumenti per entrare nel processo, quel processo che esiste solo in quanto l’uomo stesso lo scopre nel suo intelligere i segni e che non è visibile ai sensi ordinari.
La conoscenza vivente
“Ogni cosa è simbolo”
W. Goethe
Se dunque vogliamo occuparci di Umano ed in special modo di infanzia ed età evolutiva, dobbiamo tanto per cominciare imparare a conoscere le cose goethianamente cioè in maniera vivente.
Che cosa significa conoscere in maniera vivente?
Abbiamo già sopra detto che normalmente di fronte alle manifestazioni della vita, che siano oggetti, panorami, situazioni o persone, tendiamo a dare delle definizioni, ad inscatolare in una categoria, mettere delle etichette che partono come riflesso automatico.
Una definizione è sempre, anche se con sfumature variegate, appartenete ad una delle due polarità “va bene – non va bene”. Potremmo usare i termini sanscriti di Raga e Dvesa che possiamo tradurre con accoglimento/attrazione Raga e respingimento/repulsione Dvesa.
Applichiamo Raga o Dvesa in ogni nostra interazione col mondo e questo lo facciamo fino a che non interviene nella nostra vita un cambiamento: quello della ricerca spirituale il cui senso è esattamente quello di riunificare ogni separazione.
La nostra domanda di fondo deve essere “chi sei tu” che si tratti di avvenimenti, fenomeni ed esseri della natura, o esseri umani. La domanda deve essere “chi sei tu” e la risposta è sempre in ciò che non è visibile ai sensi ordinari ma vive nell’essenza del fenomeno che abbiamo davanti e che per via immaginativa, ispirativa ed intuitiva possiamo incontrare.